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Informazioni personali
- framarcelloditora
- Catania, CT, Italy
- Marcello Di Tora, domenicano, è nato a Catania il 7 maggio 1968. Ha emesso la professione solenne il 6 ottobre 1991. E' stato ordinato sacerdote il 7 ottobre 1992. Dal 25 settembre 2019 risiede presso il Convento S. Domenico di Catania.
Presentazione. Curriculum vitae
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Questo blog (che in realtà intende presentarsi come un sito personale) l’8.9.2010 esclusivamente come strumento per la mia attività di insegnamento (dunque non lo utilizzo per altro, né per discutere o per commentare fatti di cronaca, di politica o di costume sociale). Tramite il blog, pertanto, posso pubblicare i files di supporto per le lezioni così che gli studenti possano scaricarli facilmente direttamente da qui. Di recente, seguo un altro metodo: condividere i files con i rappresentanti di classe, che a loro volta li girano ai colleghi. Altri testi di didattica sono disponibili presso la “Pagina docenti" della PFT (https://fatesi.discite.it/ppd/materiali.jsp?d=147) e dello Studio Teologico S. Paolo (https://stsp.discite.it/ppd/home.jsp?d=91). Ho aperto un profilo di fb (4.6.2011) per esprimere considerazioni di impegno civile. Nell'aprile 2016 ho attivato anche "Google+ " per favorire il caricamento di video.
Di seguito vengono pubblicate le rationes dei corsi dell'anno accademico in corso.
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Frontespizio del mio saggio di Teologia delle religioni.
Presentazione del mio saggio
Presentazione sintetica del mio saggio Teologia delle religioni. Linee storiche e sistematiche, Flaccovio, Palermo 2014
Il saggio nasce dall’esperienza dell’insegnamento della Teologia delle religioni, disciplina che è stata portata all’attenzione dei riflettori della teologia cattolica europea sostanzialmente dopo la pubblicazione del volume di J. Dupuis Verso una teologia del pluralismo religioso. La disciplina era già nota nel Nord America e in Oriente, ma poco attenzionata in Europa fino al volume dell’illustre teologo gesuita belga (che ebbi la fortuna di conoscere in occasione del suo corso di licenza PUG nel 1993-1994, nel quale illustrava commentando il suo saggio di fresca pubblicazione Introduzione alla cristologia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1993 . Contestualmente alla pubblicazione di Verso…, la Facoltà Teologica di Sicilia apriva il Dipartimento di Teologia delle Religioni, sotto la direzione di Mariano Crociata, al quale succedevo nel 2008 dopo la sua consacrazione episcopale. Avendo l’opportunità di seguire da vicino tutti i passi del Dipartimento, con i dibattiti, il confronto e i convegni che si organizzavano, da M. Crociata ho potuto apprendere i criteri per una formulazione epistemologica della disciplina, che ancora il documento della CTI Il cristianesimo e le religioni, non aveva ben chiaro (n. 4). Nei miei articoli (vedi la pagina delle mie pubblicazioni) su Teologia delle religioni e islamologia. Osservazioni sulla relazione di Giuseppe Rizzardi (2006), La struttura antropologica del comportamento etico: aspetto fenomenologico e rilettura teologica (2009), La teologia delle religioni e i suoi principali nodi teologici. Considerazioni metodologiche e teoretiche (2009), «In verità la religione, presso Dio, è l’Islam (Cor 3,19). La Recitazione coranica sfida alla pretesa universalistica cristiana» (2013), ho potuto riformulare il prezioso insegnamento di Mariano Crociata col mio peculiare contributo che nel saggio illustro: la distinzione tra una teologia apologetico-fondamentale ed una dogmatica. La prima si colloca sul versante della questione veritativa (oggi praticamente assente nella riflessione contemporanea, tutta protesa a non urtare la sensibilità dell’ “altro” con il dialogo) e ha Cristo come terminus ad quem, il punto d’arrivo di un percorso teologico-razionale (quello della teologia fondamentale, di cui la tdr è una branca, che intende mostrare la credibilità della rivelazione cristiana). Si tratta di una dimensione imprescindibile, anche dal punto di vista pastorale, dal momento che non si sottolineerà mai abbastanza il fatto che le religioni non orientano affatto a Cristo, bensì solo ad incrementare il numero dei loro seguaci e presentandosi come vie di salvezza alternative a quella di Gesù (pp. 43-44). Sotto un altro versante, invece, di tipo dogmatico, dal quale scaturiscono le principali questioni contemporanee (la salvezza, la rivelazione, la mediazione salvifica delle religioni, la loro collocazione nel disegno di Dio, la presenza in esse dello Spirito ed il loro rapporto con la chiesa), Cristo è invece il terminus a quo, il punto di partenza della riflessione. Nel PRIMO capitolo, pertanto, nel presentare lo statuto epistemologico della disciplina, mediante le osservazioni riguardanti il suo oggetto (cosa essa sia) ed il suo metodo (come essa proceda), si dischiudono i compiti e la divisione dei trattati della disciplina. Ponendo con forza la distinzione epistemologica tra teologia delle religioni e dialogo interreligioso, ne consegue:
1) la teologia, come osservano, tra gli altri, anche la CTI (6,96,97) e G. Gäde, non può essere pensata in senso neutrale “con le religioni”, una “interreligiosa” o “teologia dialogica” (come vorrebbe, tra gli altri, M. Fuss), bensì come propriamente teo-logica, ossia col riferimento essenziale (ed unico) nella rivelazione consegnata nei 10 luoghi teologici, da interpretare secondo la ragione (pp. 44-47);
2) 2 il dialogo non è il metro della tdr, né può condizionare la riflessione teologica, come avviene invece oggi (perfino J. Dupuis l’ha ammesso: DuS, p. 152), ponendo a tema solo quello che unisce e occultando le differenze (diversamente da CTI 100-101), che sono pure sostanziali e strutturali, temendo che possano urtare l’interlocutore, e riducendo, di fatto, il cristianesimo ad una filosofia pratica (interessata ai diritti, alla solidarietà, ecc.), una onlus sociale (cosa resta del cristianesimo senza la croce di Gesù, senza la sua autoconsapevolezza messianica di Figlio di Dio, della redenzione, della figliolanza divina per lo Spirito Santo e della chiesa come strumento necessario per la salvezza di tutti?). il dialogo interreligioso, in realtà, non è nient’altro che la via empirica (peraltro già conosciuta nell’ambito aconfessionale della società civile, nella quale è, nella sua forma più alta – che si realizza nel Parlamento –, quella forma di comunicazione umana con la quale ci si sforza di trovare accordi con l’altro” mediante l’arte del compromesso, della negoziazione e dell’accordo) con cui i credenti incontrano i seguaci delle altre religioni e stabiliscono rapporti di amicizia in vista della costruzione della pace, mantenendo ferma l’identità degli interlocutori. Di certo il dialogo interreligioso non è pensato dal Magistero cattolico come un negoziato tra le religioni al fine di accontentare tutti ponendo a tema solo credenze e valori che accontentino (sempre e comunque) tutti (in una artificiosa “super-religione”) (pp. 38-42).
3) Nel libro è proposta una duplice affermazione (di buon senso e teologica nello stesso tempo): a) nessuno deve sentirsi offeso per le credenze dell’altro (peraltro ripresa dalla Carta dei Valori della Cittadinanza e dell’Integrazione, p. 88. 237); b) la regola del dialogo è: non imporre la fede, né rinunciare ad essa relativizzandola, occultandola, rimuovendola (p. 237).
4) 3) La tdr è debitrice delle acquisizioni delle Scienze delle religioni (storia, fenomenologia, antropologia, sociologia, psicologia). Ma queste scienze sono strutturalmente empiriche e aconfessionali; dunque non si pongono la questione della verità religiosa. Pertanto occorre che vi sia il momento riflessivo in cui la teologia si ponga su un piano epistemologico differente, che è appunto il giudizio di valore. Essa ha il compito di esprimere una valutazione sulle religioni alla luce della Rivelazione (pp. 35-42); nessuno deve scandalizzarsi di questa opzione dal momento che a): è una valutazione tutta interna alla comunità credente, che non può certo essere sottoposta al giudizio delle religioni (p. 39); b) anche le religioni hanno la loro legittima visione del cristianesimo, che certamente differisce dall’identità cristiana (p. 39 n. 23). Si pensi, ad esempio, la concezione islamica delle Scritture ebraico-cristiane che sarebbero state falsificate (tahrìf) da ebrei e cristiani al fine di occultare la missione profetica di Muhammad...
Poste queste precisazioni, approfondite in special mondo nel mio La teologia delle religioni e i suoi principali nodi teologici. Considerazioni metodologiche e teoretiche (2009), possiamo distinguere i diversi trattati interni alla disciplina:
A) La teologia generale delle religioni, con l’analisi della categoria “religione” e le problematiche, già abbozzate, della teologia dogmatica delle religioni (pp. 20, 60-61)
B) La teologia speciale delle religioni o del discernimento cristiano (secondo il senso proprio di 1Ts 5,21 (pp. 34, 224) delle singole religioni (pp. 20-21, 61). Essa ha lo scopo di accostare dottrine e prassi al fine di individuare analogie e differenze, così da poter formulare, mediante lo studio comparativo previo, teologie specifiche delle singole religioni storiche (teologia dell’islam, del buddhismo, ecc.) in modo da favorire il dialogo con i rispettivi seguaci. Su questa linea, gli sviluppi successivi alla ricerca hanno permesso di evidenziare come questa disciplina si occupi delle “grandi religioni”. Ciò significa che essa non si occupa delle Sètte o Nuovi Movimenti Religiosi, i quali non sono disposti ad un dialogo aperto e sincero (basti considerare l’astio dei Testimoni di Geova verso il cattolicesimo). Per “grandi religioni” intendiamo quelle con un elevato numero di aderenti, di certificata antichità storica (il New Age , ad esempio, è di recente apparizione) e permanenza nel tempo, che hanno accettato di stabilire relazioni di dialogo permanente con la chiesa cattolica a partire dal Vaticano II in poi (sotto questo punto di vista, benché i Mormoni o i Testimoni di Geova sia di gran lunga superiore a quello dei Giainisti, tuttavia è solo con questi ultimi che si può parlare tecnicamente di dialogo esplicito, positivo e costruttivo).
C) La teologia apologetico-fondamentale, che pone a tema la questione della credibilità della rivelazione, sotto la spinta delle considerazioni di R. Fisichella (p. 20, 62, 50-51, spec. nn. 63-64). Ho affrontato lo studio di questa sezione nel mio Il cristianesimo a confronto con le grandi religioni (induismo, buddhismo e islâm) e le sètte. Le ragioni della fede cristiana (cf. 1Pt 3,15), EDI, Napoli 2008.
Dopo la presentazione della triple partizione della disciplina, possiamo affermare che l’angolo di osservazione del teologo sulle religioni può essere calibrato secondo varie angolature, che poi ne condizionano l’indagine:
- in termini generali, è messa a tema la questione dei rapporti cristianesimo-religioni (p. 28)
- concretamente la ricerca è determinata dalla comprensione del fenomeno delle religioni: in questo senso si tratta di analizzare e valutare (p.p. 25, 34) il significato delle religioni alla luce della fede cristiana (nello specifico, la tdr si chiederà esplicitamente, a partire dagli anni ’90, e con le iniziali riflessioni di J. Dupuis in Verso.., qual è il loro ruolo nell’unico disegno salvifico di Dio per l’umanità che si è realizzato in Cristo)
- che rapporti di dialogo è possibile stabilire con i seguaci delle altre religioni: di fatto ciò significa inquadrare il tema sotto l’angolatura specifica dei tratti comuni che dobbiamo rintracciare nelle religioni al fine di stabilire un dialogo costruttivo. In questo caso, l’interesse principale (e condizionante) è dato dall’esigenza del dialogo, che invece non è l’unica né la principale né la primaria (pp. 21-22, 221-224).
- a partire dalle domande poste (da qui l’importanza della precisazione dell’oggetto, del metodo e della divisione), si individueranno i percorsi e gli interessi dei teologi.
Dalla riflessione del Dipartimento ho anche potuto acquisire un altro caposaldo: la tdr, che procede in modo induttivo e in modo deduttivo, ha nel panorama del pluralismo religioso il contesto nel quale essa opera e nel quale la fede in Gesù deve essere ripensata (Massimo Naro e CTI 1-2). Da qui il SECONDO capitolo sul contesto pluralista delle nostre società occidentali, con le loro sfide (la loro laicità, spesso traboccante in laicismo) ed opportunità (il confronto con i credenti di altre religioni aperto al dialogo ma anche al rafforzamento dell’identità cristiana). Il capitolo va letto alla luce di una premessa (ampiamente documentata, pp. 17-20): se il contesto principale dell’analisi del pluralismo religioso è dato dal fenomeno immigratorio sempre più massiccio, le considerazioni e le valutazione per la sua gestione non competono alla teologia (che non ha e non può avere soluzioni empiriche da proporre, benché gli ecclesiastici siano fortemente tentati di proporre ricette su tutti i temi dell’attualità politica, benché, ad esempio, il famoso testo di Mt 25,38 – preso come titolo per una recente pubblicazione di M. Naro – non si trova nella Costituzione), ma alle Istituzioni: Parlamento, Governo, Opinione pubblica. Lo Stato, in altri termini, deve poter gestire il fenomeno immigratorio con i criteri del diritto, coniugando solidarietà e sicurezza, regolando con saggezza i flussi e tenendo presente che la vera sfida è rappresentata dall’integrazione nel tessuto sociale europeo dei cittadini di religione islamica (pp. 75-87). La multiculturalità è un valore se non si confonde col relativismo dei valori ed è l’occasione di tutelare le minoranze religiose (pp. 85-92).
I CAPITOLI che vanno dal TERZO al NONO, che rappresentano la Seconda Parte, raccontano la storia della teologia delle religioni(anticipata alle pp. 22-27). Rientrano in quella che viene detta “teologia positiva”. Il TERZO (pp. 95-112) analizza le tematiche attuali alla lue della come la Scrittura, la quale non si pone tutte le questioni che la tdr oggi solleva. Tuttavia la Bibbia mette in risalto due dati centrali: che Cristo è il rivelatore definitivo del Padre ed il solo salvatore dell’umanità. Di conseguenza la chiesa, tramite la quale vengono amministrati i sacramenti della salvezza (a cominciare dal battesimo), è necessaria alla salvezza di tutti gli uomini, tanto da essere paragonata all’arca di Noè, l’unica arca nohachica, al di fuori della quale non si dà salvezza (1Pt 3,18-22). Specularmente, la Scrittura mostra sia apprezzamento per la religiosità “pagana”, cioè non biblica, sia l’incapacità delle religioni di offrire verità (piena) e salvezza. Questa seconda dimensione oggi viene tralasciata perché scomoda. Qualcosa di simile, in realtà, e per certi versi con caratteri più apodittici, si trova nel Corano, col netto insegnamento secondo cui "fuori dall'islam non c'è salvezza" (si vedano, in ordine di incisività, rispettivmente: Cor 3,19.85; 5,3; 9,33; 6,161; 4,125; ma anche 2,131-132; 24,55; 110,2). A partire dalla consapevolezza biblica, nel QUARTO capitolo (pp. 112-131) si descrive come la coscienza ecclesiale abbia affrontato la questione del rapporto con le religioni sia in senso rivelativo che salvifico. Sotto quest’ultimo, maturando l’assioma extra Ecclesiam nulla salus in termini sempre più rigidi (fino al Concilio di Firenze, capitolo QUINTO: pp. 133-136; da qui la comprensione teologica di questo periodo storico sotto il nome di esclusivismo ecclesiocentrico); con la scoperta nel Nuovo Mondo, cadranno i presupposti del ragionamento che nel tempo irrigidirà sempre più l’assioma: p. 130, 134) e si farà strada la considerazione della possibilità dell’ignoranza, senza colpa del Vangelo (pp. 134-136). Sotto il profilo rivelativo, coniando la dottrina dei Semi del Verbo, da rintracciare tuttavia non nelle religioni, quanto nella filosofia (greca). Nel SESTO capitolo (pp. 137-156) si analizza il pensiero di tre pionieri della disciplina: De Lubac, Daniélou e Rahner (citati al n. 4 della CTI, p. 136). Questi pensatori saranno i primi a considerare le religioni come sistemi di credenze e culturali, spostando così l’attenzione dalla salvezza dei singoli, al ruolo delle istituzioni religiose nella salvezza. La teologia successiva li classificherà come esponenti del modello inclusivista, che poi sarà quello del Vaticano II. Tutti e tre hanno chiaro in mente come sia Gesù Cristo l’unico salvatore del mondo. Tuttavia non escludono la salvezza ai seguaci delle altre religioni. È sul come giunga ai non cristiani la salvezza cristica che i tre divergono: De Lubac e Daniélou ritengono che le religioni siano il tentativo culturale degli uomini di giungere fino a Dio; ma in quanto pura ricerca umana (da qui la definizione della loro impostazione come dottrina del compimento) del divino, essa comporta sia il raggiungimento di verità naturali, sia l’errore, che è proprio di una ricerca incompiuta e imperfetta, a motivo del peccato. Per Rahner, invece, il cui pensiero è diventato il punto di riferimento dei teologi cattolici contemporanei, non si dà una distinzione netta tra ambito naturale e ambito sopranaturale; pertanto la natura stessa è già toccata dalla grazia di Dio. Di conseguenza, le religioni non sono soltanto la ricerca di Dio da parte dell’uomo ma anche il venire incontro agli uomini del Dio di Gesù Cristo. I seguaci delle religioni pertanto, già raggiunti dalla grazia, hanno modo di entrare in contatto con Dio, e sono cristiani senza saperlo coscientemente (“cristiani anonimi”). Se le religioni il luogo dell’operante presenza misteriosa di Dio, esse sono vie di salvezza, che tuttavia si realizza pienamente in Cristo. I loro seguaci non si salvano a dispetto delle religioni, ma proprio in forza della loro appartenenza ad esse, benché la fonte salvifica resti Cristo.
Da qui la posizione di Rahner pensata come la linea della presenza nascosta di Cristo nelle religioni. La teologia dei nostri tre teologi condizionerà sia il Vaticano, che tuttavia non prenderà posizione esplicitamente, e resterà sullo sfondo dei diversi paradigmi e correnti della tdr fino ai nostri giorni (pp. 150-151, 170-171). La vera questione cruciale in tdr, dalla quale scaturiscono a cascata tutte le risposte alle domande poste oggi a (e da) questa disciplina, è quella del rapporto tra natura e grazia, tra natura e soprannatura. Il paragrafo 6.3.2 pone a tema la questione (pp. 152-155), osservando che il Magistero opti (prevalentemente) per la prospettiva del compimento (pp. 150-151). Personalmente appoggio la dottrina del compimento. Tuttavia, dal momento che il teologo è soprattutto colui che cerca la Verità (non chi parteggia ideologicamente per un partito o per un altro), ebbene la ricerca della verità, secondo l’insegnamento tommasiano, che ispira il mio percorso teologico (pp. 4-47), suppone di considerare anche ciò che di buono e di vero è presente nella posizione dell’‘altro”, chiunque esso sia (p. 274 n. 26; cit. in FR 44). Certamente non tutto è da criticare nella posizione di Rahner. È soprattutto l’intuizione di fondo che va valorizzata: il fatto che Dio è continuamente alla ricerca dell’uomo, non lo abbandona a se stesso. Pertanto, nel paragrafo 8.5.2 (pp. 199-213) formulo quando avevo già abbozzato in La teologia delle religioni. Bilanci e prospettive alla luce della «Dominus Iesus» (2005) e ne La teologia delle religioni e i suoi principali nodi teologici. Considerazioni metodologiche e teoretiche (2009): una sintesi tra dottrina del compimento e dottrina della presenza, assumendo il meglio dell’una e dell’altra. Concretamente, le religioni sono il tentativo di raggiungere Dio (compimento), ma tale sforzo non lascia indifferente Dio; egli si fa trovare (presenza) mediante il suo Spirito Santo (pp. 179-180, 274-276): ma l’andare di Dio incontro all’umanità non è propriamente di ordine soprannaturale, ma naturale. Questa precisazione non svilisce né sminuisce l’azione di Dio. Semplicemente ne inquadra teologicamente la natura. E permette di salvaguardare perfettamente due principi cardini in tdr: la novità cristiana ed il riconoscimento del bene presente nelle religioni (pp. 154-155, 207, 222-223, 274-276) senza dover deviare nel pluralismo teocentrico relativista ovvero (nel vero senso dato dalla congiunzione avversativa) nell’esclusivismo barthiano (p. 137 n. 1, 144).
Il Capitolo SETTE (pp. 157-172) presenta l’insegnamento del Vaticano II. Il Concilio rappresenta una svolta epocale nel rapporto con le religioni (di fatto superando definitivamente il rigido esclusivismo patristico). La corretta comprensione di quanto ha realmente formulato il Concilio, che è dato anzitutto da quanto documentato nei Testi conciliari, è da inquadrare secondo un’ottica cristocentrica. Il concilio ribadisce con vigore che Cristo è il rivelatore definito del Padre e l’unico salvatore; di conseguenza la chiesa è sacramento di salvezza per tutti gli uomini; essa ha il compito primario dell’annunzio del Vangelo di Gesù Cristo (NAE 2). È alla luce della prospettiva cristo-ecclesiologica che, specularmente, vengono considerate le religioni. Se ne parla non solo in NAE, erroneamente presentato oggi come se fosse l’unico documento che analizza il rapporto con le religioni, m che in effetti è il più pragmatico-pastorale (rispondendo non tanto a questioni teologiche, quanto piuttosto a come si debba ormai rapportare con i loro seguaci), ma anche in LG e AG. Recentemente è stato pubblicato il saggio di F. Iannone, Una Chiesa per gli altri. Il Concilio Vaticano II e le religioni non cristiane, Cittadella Editrice, Assisi 2014, in cui si analizzano, emblematicamente, LG 16, NAE, GS 22 e AG 7. La sintesi dell’insegnamento conciliare è riassunta a p. 170.
Il Concilio non intendeva formulare posizioni teologiche nei riguardi delle religioni. Tuttavia una serie di questioni, abbozzate nel Vaticano II, saranno sviluppate, riprese ed approfondite nel Magistero successivo. Da qui il lungo ed articolato capitolo OTTAVO (pp. 173-226), che analizza sostanzialmente 6 interrogativi, presentati a p. 174, secondo sette paragrafi.
- Gli atteggiamenti effettivi (prima ancora delle parole e dei documenti) all’insegna dell’incontro e dell’apertura (pp. 175). Il paragrafo è oggetto di continui aggiornamenti.
- L’individuazione dei valori delle religioni: per la presenza dello Spirito Santo (pp. 179-180, 274—276): i riti, le preghiere, i modi di vivere, i precetti e le dottrine (NAE 2); i testi religiosi, i codici etici (pp. 176-179).
- L’unicità della mediazione rivelatrice e salvifica di Cristo (pp. 180-185)
- Il mistero della chiesa come sacramento universale di salvezza, in quanto segno e strumento della presenza di Dio in mezzo agli uomini Da qui la sua necessità in ordine alla salvezza di tutta l’umanità e la sua missione evangelizzatrice (pp. 185-
- La chiesa come sacramento universale di salvezza (pp. 185-188)
- La chiesa come via ordinaria di salvezza (pp. 188-191)
- Il significato della mediazione ecclesiale (pp. 191-192)
- La chiesa ed il Regno di Dio (p. 192)
- Sintesi ricapitolativa (pp. 192-194)
- Le ragioni della missione: risposta ad obiezioni contemporanee (pp. 194-197)
- La valutazione cristiana delle religioni (pp. 198-214)
- Significato, natura, articolazioni del dialogo interreligioso e rapporti con l’evangelizzazione (pp. 214-221)
- Bilancio conclusivo (pp. 221-224)
Dopo il Vaticano II, con la costituzione formale della tdr, presero forma le diverse correnti di tdr. In questo capitolo NONO (pp. 227-246) viene fatta una disamina dei presupposti filosofico-teologici delle tendenze attuali, a partire dalla principale, detta “teologia pluralistica delle religioni”. Stabilendo come principio assoluto la necessità del dialogo, essa si propone di adattare l’identità cristiana all’imperativo categorico del dialogo. Ma a prezzo delle verità centrali della fede. Dopo aver mostrato le aporie di questo paradigma, si passa a quello proposto da C. Gefré e D. Dupuis. È nominato diversamente (l’etichetta, in tdr, è secondaria): ora come “nuovo inclusivismo” ora come semipluralismo. Questa corrente si propone di conciliare l’inclusivismo conciliare con le esigenze del pluralismo di favorire il dialogo, ma senza cedere alla relativizzazione della fede cristiana, così come avviene nella teologia pluralistica delle religioni. L’esito non è stato felice. Lo dimostra la Notificazione al volume di Dupuis Verso….
All’inizio dello studio si era opportunamente richiamata una distinzione di J. Dupuis tra paradigmi e modelli (pp. 23 n. 32 e 27 n. 49). I primi si escludono a vicenda. Al loro interno vi possono essere ripensamenti differenti che chiamiamo modelli (o correnti). L’esclusivismo, l’inclusivismo ed il pluralismo sono paradigmi; all’interno dell’inclusivismo abbiamo i modelli del compimento e della presenza; come nel pluralismo abbiamo i modelli del Logocentrismo, dello Penumatocentrismo, del Regnocentrismo, ecc.
L’ultimo modello, l’interiorismo, in realtà non si propone come nuovo paradigma teologico, bensì come nuova ermeneutica che, sulla scorta dell’insegnamento rahneriano, riconsoce la presenza nascosta di Cristo nelle religioni senza relativizzare la fede nel pluralismo o ponendo le problematiche del semipluraismo.
La reazione del Magistero (pp. 239-246) alla deriva pluralistica si è registrata con la Redemptoris missio, la quale ribadiva l’unità e l’unicità del mistero rivelativo e salvifico di Gesù Cristo (p. 240, 270) In seguito è stato pubblicato Il cristianesimo e le religioni, della CTI, che poneva anzitutto questioni di natura epistemologica sulle problematiche della tdr, formulando quattro principi per una corretta tdr: il disegno salvifico universale di Dio, la mediazione universale di Cristo, la presenza dello Spirito e l’unicità della Chiesa. Oltre ad altri documenti di redatti durante il pontificato di Giovanni Paolo II, in particolare Ecclesia in Asia, va menzionata la centralità della Dominus Iesus. La Dichiarazione della CDF, suddivisa in due blocchi, cristologico ed ecclesiologico, contiene una serie di linee guida per una corretta tdr. Questi insegnamenti biblici e magisteriali, semplicemente ribaditi da DI, sono poi sintetizzati in 9 punti che “devono essere fermamente creduti” (pp. 243-244) e in 12 che invece vanno respinti come contrari alla fede cristiana (pp. 244-245).
La Terza Parte (pp. 247-294), è una riformulazione degli insegnamenti via via scoperti nel corso dello studio e ripresi ora in chiave sistematica, suddividendoli in cinque capitoli:
- Uno sguardo d’insieme sulla disciplina, col richiamo ai paradigmi principali con cui oggi viene pensato il rapporto cristianesimo-religioni (pp. 249-254)
- La dimensione religiosa dell’uomo (teologia generale delle religioni), la tematica relativa al cristianesimo che è sì una religione (si costituisce attorno alle quattro dimensioni di ogni religione – credenze, riti, etica e istituzione – con le quali gli uomini credenti hanno cercato di stabilire un rapporto con la divinità), ma è anche più che una religione (perché il nuovo rapporto con Dio è dato dall’esperienza di Gesù Cristo e dalla salvezza da lui operata, la quale che porta a compimento le aspirazioni umane), in una dialettica continuità-discontinuità che è già presente nella coscienza biblica cristiana nel suo rapportarsi con il “Dio dei Padri”, che è anche il “Dio di Gesù Cristo”; la questione veritativa e la specificità della rivelazione cristiana (pp. 255-265).
- Il capitolo sulla salvezza e le religioni, che pone a tema la questione originaria se le religioni possono essere considerate come vie di salvezza. Riprendendo i documenti magisteriali, tenendo conto che nel Vaticano II una formulazione del genere è assente, e che gli interventi dei pontefici non l’hanno mai affermata, possiamo affermala, sulla scorta di quanto detto dall’allora card. Ratzinger in occasione della presentazione della Dominus Iesu (pp. 151, 199, 271): “via alla salvezza non sono le religioni in se stesse, ma il bene presente in esse” (che è parziale e frammentario). Tenuto conto di questa dichiarazione, alla luce del Magistero possiamo rimodulare la questione in tre passaggi.
- Tutti gli uomini si salvano per Cristi (benché non lo conoscano).
- Cristo comunica la grazia pasquale mediante il suo Spirito (queste due affermazioni sono sinteticamente formulate in GS 12).
- Dal momento che lo Spirito (pp. 274-276) ha seminato il bene presente nelle religioni (non tutto è giusto e santo: vi sono anche “lacune, insufficienze ed errori”: RM 55, OT 16; LG 16 (p. 212, 166), lo Spirito si serve strumentalmente di questo bene per comunicare la grazia pasquale (pp. 167, 177; 180, 199). Cristo resta il salvatore costitutivo, la fonte unica della salvezza. Egli è il salvatore unico e universale: unico perché accanto a lui non ce ne sono altri (non si sono altre manifestazioni del Verbo, come vorrebbero i pluralisti); è universale perché salva non solo i cristiani e coloro che credono in lui, ma tutti gli uomini, giacché il suo amore raggiunge tutti (pp. 252-253). Ed è il rivelatore unico e universale. Significa che solo lui porta compimento la rivelazione di Dio (DV 6), sebbene la comprensione di questa rivelazione si compirà solo alla fine dei tempi e benché nelle religioni vi siano elementi di verità e di conoscenza parziale del mistero divino.
- La questione della rivelazione nelle religioni e l’attribuzione dell’ispirazione ai loro “libri sacri” (pp. 277-284). La CTI (nn.88-92) ha escluso che i libri delle religioni possano essere pensati come ispirati, e DI 8 è più esplicito. Si può pensare ad una forma di “illuminazione”, ma la categoria (soprannaturale) di ispirazione va attribuita solo ai libri canonici dell’AT e del NT. Nemmeno per i testi dei mistici cristiani su può parlare propriamente di ispirazione, tanto più per i libri delle religioni, che pure contengono lacune, insufficienze ed errori.
- La necessità della chiesa in ordine alla salvezza di tutti gli uomini: se i non cristiani che senza colpa sono raggiunti dalla grazia di Cristo, tale grazia è inscindibilmente legata alla Chiesa. Pertanto, la grazia stabilisce dei legami (che la teologia non ha ancora approfondito) tra loro e la chiesa, secondo quanto affermato da RM 10 (pp. 162, 188, 191, 288). Tali legami saranno perfetti se vorranno accogliere esplicitamente Cristo, opzione che passa per il battesimo che si amministra nella Chiesa (AG 7, RM 46 e 55; pp. 161-163, 187-190, 294).
- Sullo sfondo, la questione del significato delle religioni nel piano salvifico di Dio, che è il nuovo quesito della tdr e che attraversa l’intero lavoro (pp. 153,174,268-276 . Detto esplicitamente: è la questione se le religioni sono volte o no da Dio (è così che Dupuis formula chiaramente la questione, p. 174), o se bisogna riconoscere il pluralismo di diritto e non solo de facto (DI 4). Le aporie del relativismo e dell’esclusivismo sono in agguato. La risposta più equilibrata sta, come detto, nella già accennata distinzione tra ambito naturale e soprannaturale, per la quale le religioni possono esse osservate secondo lo sguardo di Dio o secondo la dimensione fenomenologica, con la via mediata tra dottrina del compimento e dottrina della presenza (pp. 199-213).